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venerdì 31 gennaio 2014
Internet, Umberto Eco replica a Eugenio Scalfari
Il progresso della Rete non si può fermare
di Umberto Eco *
Nell’antichità faceva paura persino la scrittura. E ora si discute su #Internet. Che, se usata nel modo giusto, può fare tanto bene ai ragazzi. Anche se non potremo evitare i dannati della Rete
Qualche “Espresso” fa scrivevo una lettera a un nipotino ideale incoraggiandolo a far uso della sua memoria senza limitarsi a trarre informazioni da quel repertorio peraltro indispensabile che è Internet. Immediatamente un talebano del digitale, non ricordo in quale blog, mi accusava di essere (come al solito, diceva) nemico di Internet. Come se chi critica coloro che vanno a centottanta sull’autostrada o guidano in stato di ebbrezza sia contrario all’automobile e non la usi mai. Di converso, sull’“Espresso” scorso Eugenio Scalfari (ricordando la mia ultima Bustina in cui parlavo dei poveretti condannati a un eterno presente che nella trasmissione “L’eredità” avevano mostrato di ritenere che Hitler e Mussolini fossero vissuti negli anni Sessanta, Settanta o Ottanta) mi rimproverava (affettuosamente) l’eccesso opposto, e cioè di dare troppa fiducia a Internet come possibilità di reperire informazioni.
Scalfari osservava che è proprio l’appiattimento creato dalla memoria artificiale “on line” a rendere una generazione malata di dimenticanza. E osservava parimenti che l’uso della Rete, dando l’impressione di essere in contatto con tutto e con tutti condanna in realtà alla solitudine. Sono due malattie del nostro tempo su cui sono d’accordo e molto ho scritto in proposito. Scalfari però non cita quel passo del “Fedro” platonico in cui il Faraone rimprovera al dio Theut, inventore della scrittura, di aver escogitato una tecnologia per colpa della quale gli uomini perderanno la buona abitudine a far uso della memoria. E invece è poi accaduto che la scrittura abbia invogliato la gente a ricordare quanto avevano letto, e che è solo per merito della scrittura che si è potuto scrivere quell’elogio della memoria che è la “Recherche” proustiana. Come a dire che si può usare benissimo Internet e coltivare nel contempo la memoria, cercando persino di ricordare quanto si è appreso da Internet.
La questione è che la Rete non è qualcosa che possiamo decidere di respingere, e così è accaduto coi telai meccanici, con la motorizzazione, con la televisione; essa c’è, neppure le dittature potranno mai eliminarla, e quindi il problema è non solo riconoscerne i rischi (evidenti) ma anche decidere come ci si possa abituare (ed educare i giovani) a farne un uso critico.
Pensiamo a un buon insegnante che propone una ricerca sull’argomento X, e sa di non poter evitare che i suoi alunni vadano a prelevare soluzioni cotte e mangiate su Internet senza fare la minima fatica. Quell’insegnante può proporre di cercare notizie su quell’argomento in almeno dieci siti di Internet, paragonando le risposte, rilevando le eventuali differenze o contraddizioni tra sito e sito, cercando di stabilire quale sito sia il più attendibile - magari andando a fare verifiche anche su supporti cartacei (o anche soltanto sulla Garzantina). A quel punto i ragazzi avranno attinto alle informazioni che Internet può dare - e che sarebbe stolido evitare - e al tempo stesso avranno ragionato con la propria testa e si saranno costituita la propria memoria personale su quanto avranno scoperto su X. Si noti inoltre che, chiamati a confrontare mutuamente le loro ricostruzioni, i ragazzi saranno anche sfuggiti alla condanna della solitudine, e avranno ritrovato il gusto del confronto faccia a faccia.
Non si potrà malauguratamente evitare che esistano i dannati della Rete, ormai incapaci di sottrarsi al rapporto solitario e fascinatorio con lo schermo. Se né genitori né scuola saranno stati capaci di farli uscire da quel girone infernale, lo metteremo nello stesso conto in cui si mettono i drogati, gli onanisti compulsivi, i razzisti, i visionari mistici, i visitatori di cartomanti, ovvero tutte quelle forme degenerative a cui ogni società deve responsabilmente far fronte. Ma ha dovuto farlo in ogni epoca.
Se oggi questi “malati” sembrano troppi è perché nel giro di cinquant’anni siamo passati da 2 a 7 miliardi di abitanti del pianeta. E questo non è colpa della solitudine imposta dalla Rete, ma caso mai da un eccesso di contatto umano.
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* L'espresso - La bustina di Minerva
#Dibattito
Giornalismo & Albo
Perché non possiamo abolire l’elenco dei Pubblicisti
di Marco Volpati
C'è chi sogna un Ordine dei giornalisti senza i pubblicisti. Ma sarebbe un rimedio peggiore del male. Le vie possibili sono due: tutti insieme in un unico elenco, #giornalisti e nient'altro, cioè todos caballeros, chiudendo gli occhi di fronte alle differenze di ruoli e di presenza; oppure estinzione dei pubblicisti attuali, con la scelta di non ammetterne più per il futuro.
La seconda via lascerebbe fuori dalla porta dell'Ordine e degli altri organismi di categoria, a partire dal sindacato, tante figure che a diversi livelli concorrono a fare informazione. Chi fornisce opinioni o contributi specialistici (pensiamo a politologi, sociologi e costituzionalisti che intervengono su temi politici, economisti, medici, informatici, e così via), e anche chi raccoglie in sede locale notizie e le fornisce sistematicamente ai mezzi di informazione.
C'è chi invoca, e non sono solo gli editori, l'esistenza del citizen journalism per dire che in tanti, nella società e sul web colgono, trattano e diffondono le notizie; troppi, secondo loro, perché se ne possa stabilire status professionale e definire una remunerazione.
È un inganno (o un abbaglio). Dobbiamo distinguere (dinsambiguare, direbbe un patito del web) tra il cittadino che coglie direttamente un fatto o un'immagine e la posta sul web (lui non è giornalista; più che fare informazione è fonte di #informazione), e chi, anche con tecnologie nuove, opera per conto dei media.
Marco Volpati
Consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti
I giornalisti e la formazione professionale
Formazione obbligatoria per tutti i giornalisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell’Albo professionale (Prf e Pbl), compresi i pensionati in attività. È si legge sul portale del Cnog, www.odg.it. Da gennaio 2014, infatti, per effetto dell’art. 7 del DPR 137/2012 (Riforma dell’Ordine professionale), anche i giornalisti italiani dovranno assolvere all’obbligo della Formazione professionale continua (FPC).
Per assolvere all’obbligo formativo, ogni iscritto dovrà maturare 60 crediti in un triennio (con un minimo di 15 crediti annuali) di cui almeno 15 su temi deontologici. I crediti potranno essere ottenuti in svariati modi (art. 3 del Regolamento attuativo approvato dal Consiglio Nazionale fra cui attività formative anche a distanza, frequenza di corsi, seminari e master organizzati anche da soggetti formatori terzi (ad esempio le Università) autorizzati però dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (Cnog). Ogni ora trascorsa per partecipare a un evento formativo darà diritto a due crediti. L’impegno massimo per ogni iscritto sarà dunque di 10 ore l’anno.
La formazione deontologica, che prevede un quarto dei crediti totali richiesti nel triennio, sarà gratuita per ogni iscritto e, dunque, a carico dell’Ordine. A questo proposito, sarà disponibile già nelle prossime settimane un corso e-learning sviluppato dal Centro di Documentazione Giornalistica sulla base delle indicazioni fornite dal Cnog. I primi piani formativi, contenenti gli eventi utili al conseguimento dei crediti, saranno pubblicati entro la fine del mese di marzo su un’apposita sezione dei siti del Cnog e degli Ordini regionali.
Intanto, nella convinzione che la formazione continua dei giornalisti sia un’opportunità da sfruttare nel migliore dei modi, il Cnog ha stanziato risorse economiche importanti che verranno messe a disposizione degli Ordini regionali e, dunque, di tutti i colleghi.